È un mare strano quello di Venezia, un mondo di acque basse in continuo movimento e trasformazione. Visto dall’alto,sembra un merletto. Tra briccole, tralicci, barene e reti,le rotte sono sentieri nascosti, come le vie dei canti. Danzava la vita, in bilico sull’Equatore, dai mari del Sud alla laguna di Venezia. Luoghi di simboli e magie, animali che mutano pelle e terre che affiorano dall’acqua. Moeche che tornano granchi, barene che si dissolvono nella marea.
Oggi si pesca bene perché è venuto il freddo e si è alzato il vento da nord. Allora il fango si muove e i pesci finiscono nelle reti. Per essere precisi, le reti si chiamano trezze e sono disposte sulle secche in prossimità delle acque più profonde, in genere a 45° rispetto alla corrente. Formano dei corridoi che chiudono il pesce e lo indirizzano versi i cògoli, che sono gli attrezzi di pesca veri e propri. Hanno la forma allungata, con una serie di imbuti di rete posti uno all’interno dell’altro.
Il pesce entra, nuota e va avanti finché non può più tornare indietro.
Sulla barca c’è anche una tavola di legno con i bordi rialzati, al centro dello scafo. È lì che Ivan rovescia il pesce ed è lì che effettua la prima selezione. I granchi vengono messi nei sacchi umidi di iuta e si portano a terra, nei casoni, dove si svolge la parte veramente difficile del lavoro del moecante, quella che lo distingue da qualsiasi altro pescatore. Le moeche sono i granchi maschi, che due volte l’anno – in primavera e in autunno – mutano il carapace e per poche ore restano senza corazza. Allora sono moe – molli – e per questo si chiamano moeche. Fritte sono uno dei piatti più ricercati della cucina veneziana.